Nonostante il contesto sempre più complesso per via della guerra in Ucraina, l’export italiano secondo Sace si confermerà anche nel 2022 un traino prezioso, benché decisamente più costoso, per l’economia italiana.

Quest’anno, infatti, le esportazioni di beni made in Italy cresceranno – secondo le stime esposte dall’agenzia nel suo ‘scenario base‘ – in valore del 10,3%, un aumento più sostenuto dal fattore prezzo che dal volume (in crescita invece del 2,6%).
Nel 2023 le tensioni sui costi dovrebbero ridursi e i trend di valori e volumi si riavvicineranno, con crescite rispettivamente del 5% e del 4%, mentre l’export raggiungerà i 600 miliardi di euro, consentendo all’Italia, ottavo Paese esportatore nel mondo, di mantenere pressoché invariata la sua quota di mercato a livello globale, pari al 2,7%.

Queste previsioni sono contenute nel report ‘Caro export. Sfide globali e il valore di esserci’, che è stato presentato questa mattina.

Queste performance, secondo l’agenzia di export credit, beneficeranno di condizioni di domanda ancora relativamente favorevoli a livello globale e, nel caso dei Paesi Ue, delle risorse del programma Next Generation EU.

Relativamente ai servizi, il 2022 rappresenta inoltre l’anno del recupero (+19,9%), con un ritorno pressoché ai livelli pre-Covid dopo il rimbalzo incompleto dello scorso anno, grazie soprattutto al comparto del turismo che rappresenta il 9,1% del Pil. Questo buon andamento proseguirà anche nel 2023 a un ritmo del 9,8%, che permetterà di superare i livelli del 2019.

Guardando ai diversi settori, nel 2022 si assisterà ad ampie crescite in valore, più contenute in volume rimarranno generalmente più contenuti. Questo sarà particolarmente evidente per i beni intermedi, specie i metalli e la chimica, le cui esportazioni proseguono con una crescita a doppia cifra, grazie sia alla componente dei prezzi sia alla dinamica ancora relativamente sostenuta degli investimenti.

I piani economici di rilancio in chiave infrastrutturale e green saranno alla base della crescita anche dei beni d’investimento, trainati in particolare dai mezzi di trasporto e dalla meccanica strumentale, che tuttavia quest’anno risentiranno delle attuali incertezze. Il ritorno dell’inflazione globale si rifletterà in un calo del potere d’acquisto delle imprese e delle famiglie più in difficoltà, che potranno ridurre le risorse destinate agli acquisti di beni di consumo, in particolare per gioielleria e prodotti in pelle.  L’effetto prezzi spingerà comunque verso l’alto questi beni, per poi attenuarsi il prossimo. Nonostante il rincaro dei processi produttivi lungo tutta la filiera, nel 2022-2023 proseguirà inoltre la buona performance dell’agroalimentare, che già dall’anno scorso sta beneficiando anche della ripartenza del turismo.

Dal punto di vista geografico, il conflitto in Ucraina e il protrarsi, seppure con intensità minore, dell’emergenza sanitaria stanno producendo effetti differenziati. I paesi dell’Est Europa sono naturalmente quelli le cui economie che soffrono di più, mentre l’Europa avanzata sconta le criticità dell’approvvigionamento di input, in particolare energetici. A beneficiare dei rincari di energia sono Medio Oriente e Nord Africa, mentre l’Asia-Pacifico, in particolare la Cina, è influenzata dalle politiche zero Covid. Il persistere delle conseguenze della pandemia, le conseguenze del conflitto in Ucraina sugli approvvigionamenti alimentari mantengono invece deboli le prospettive di crescita della domanda dell’Africa Subsahariana.

In questo contesto, alcuni mercati continueranno però ad avere una domanda vivace.

Tra le economie emergenti numerose opportunità verranno dai piani di investimenti pubblici degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita o dell’India, e dal crescente inserimento nelle catene di approvvigionamento di player nazionali in Messico o Colombia. Le potenzialità di mercato della Cina restano elevate, ma le esportazioni italiane potranno beneficiare “dell’impronta industriale decisamente trasformatrice del Vietnam”, dalla industria tessile e della lavorazione delle pelli fino all’agroalimentare. Tra i paesi già presidiati si distingueranno per la domanda di nostre esportazioni gli Stati Uniti su tutti, ma anche la Spagna.

Questo, insomma, lo scenario base, cui però secondo Sace, date le incertezze globali, vanno affiancate previsioni alternative.

In un primo quadro, elaborato immaginando una continuazione e intensificazione del conflitto, la crescita economica globale risulterebbe più debole e sarebbe accompagnata da un’ulteriore impennata dell’inflazione. In questo contesto, l’export italiano crescerebbe quest’anno del 9,1% e solo dello 0,5% nel 2023.

Un secondo scenario alternativo, con una “probabilità di accadimento” considerata “più modesta”, prevede una risoluzione del conflitto in tempi più brevi e condivisa da entrambe le parti. In questo caso, l’allentamento delle distorsioni sul mercato energetico e il conseguente calo delle pressioni inflazionistiche aprirebbero a una ripresa post-conflitto nel 2023. L’export italiano di beni crescerebbe dell’11% nell’anno in corso e dell’8,3% il prossimo.